Come fare a essere legare la vita. esistere. Non aspetterò che di trasformarmi, io rinascerò di nuovo (Giacomo 1995) Giacomo De Nuccio - Agosto 2009 Per gentile concessione di “Cicoria” - pubblicazione trimestrale della Associazione “via Montereale” - Pordenone Tutti i diritti riservati - vogliamo.it - Casella Postale 111 - 21013 Gallarate GLI ALTRI  Normalità e diversità in corrispondenza biunivoca Dei disturbi legati all’autismo il più faticoso da tollerare è la difformità, rispetto ad una norma codificata, nella conduzione dei rapporti sociali, il divario, spesso incolmabile, tra l’agire di una persona autistica e il comune modo di comunicare e di rapportarsi agli altri . Ma chi sono gli altri? Gli altri sono coloro che non sono noi, la restante parte dell’umanità oltre noi, semplice, no? Eppure il discorso è più complesso di quanto possa sembrare perché, se è vero che gli altri sono altro da noi, è vero anche che per chi è altro da noi “gli altri” siamo proprio “noi”. Così siamo abituati ad osservare il resto del mondo come se ciò che vediamo non dovesse mai riguardarci:noi siamo noi e mai gli altri. Per chi è “portatore di normalità” è estremamente difficile comprendere e accettare di essere l’ <<altro>> , dal momento che la “normalità” lo rende parte integrata di una più ampia schiera i cui membri si riconoscono a vicenda nel rispetto di un ormai tacito codice comune. Per chi invece è ,come me, “portatore sano di normalità” è impossibile praticare quel codice anche se ne conosce le regole: meccanismi che si inceppano, automatismi che sviluppano secondo strade sempre diverse e soprattutto inusuali lasciano gli apprendimenti in stand-by o, peggio ancora, in un file protetto, pronti a comparire su uno schermo visibile a tutti solo se viene digitata la giusta password. Supponiamo che io chieda di “vedere” mio fratello che non vive con me, tutti si meravigliano che in sua presenza io me ne stia , almeno apparentemente, per mio conto. Il fatto è che  “vedere una persona” ha socialmente ed emozionalmente tutta una serie di implicazioni per me difficili da esplicitare e in certe situazioni anche da comprendere, così come “salutare” non significa sempre e solo limitarsi al semplice “Ciao!” che riesco a dire. Ieri, per esempio,mentre mi allenavo a giocare a pallavolo, i vari comandi “Colpisci la palla, respingila senza trattenerla, non fermare la palla,non afferrarla,…” non hanno sortito alcun esito positivo. Questa mattina il mio allenatore ha esordito con “Battuta!” e come per incanto ho respinto la palla correttamente e per tutto il tempo: ACCEPT!, finalmente la password corretta! Naturalmente io non dovevo “battere” la palla, ma alla parola “battuta”, ho visto scorrere velocissime in sequenza le immagini di una partita dal suo inizio e ho capito dove e come collocare il gesto, già chiaro da subito alla mia mente ma non alle mie braccia. Allo stesso modo, allenandomi a tirare a canestro ,la frase “Attenzione al vertice della parabola!”(la traiettoria di un oggetto lanciato è parabolica) ha reso efficace il mio gesto. Il mio allenatore mi conosce da sempre e ,anche se non sa spiegare come funziono, non si arrende perché accetta che io funzioni e funzioni in modo”altro”. E gli altri? Per molti io resto un rebus irrisolto, un cruciverba incompleto, una difficoltà che non desiderano affrontare,  ma pochi si lasciano tentare dal sospetto che, quando sono io a stare nella schiera dei “noi”, sono loro a sostenere il ruolo di “difficoltà”.