Come fare a essere legare la vita. esistere. Non aspetterò che di trasformarmi, io rinascerò di nuovo (Giacomo 1995) Giacomo De Nuccio - Novembre 2009 Per gentile concessione di “Cicoria” - pubblicazione trimestrale della Associazione “via Montereale” - Pordenone Tutti i diritti riservati - vogliamo.it - Casella Postale 111 - 21013 Gallarate INSEGUENDO LA FELICITÀ Essere altruisti per essere egoisti Oggi è domenica e piove. Per me, che desidero fare una passeggiata, la pioggia torrenziale in questo momento costituisce impedimento a una piccola felicità. Certo  se io decidessi di armarmi di scarpe robuste, vestiti comodi, impermeabile e ombrello, potrei temerariamente uscire e non sarei pervaso da un fastidioso e diffuso senso di malinconia oppure potrei ragionevolmente evitare di imprecare contro il tempo e considerare la possibilità di traslare la mia passeggiata e, finchè piove, fare altro oppure continuare ad amplificare il sentimento che provo crogiolandomi in esso e attribuire ad un fattore esterno il mio disagio. Attualmente, contrariamente ad ogni forma di buon senso, l’ultima opzione sembra essere la più gettonata perché è facile dire “non dipende da me, supera le mie possibilità, non posso farcela,..” assegnando alla felicità una natura del tutto contingente. Il mio è solo un esempio banale, ma da quando, poco più di duecento anni fa, si è stabilito che vita, libertà e ricerca della felicità sono  diritti fondamentali dell’uomo, l’individuo ha paradossalmente cominciato ad attribuire valore di contingenza a questi tre caratteri dell’esistenza. Dobbiamo dunque rassegnarci a pensare alla felicità come ad un fattore esterno, ad altro da noi, a pura e semplice contingenza e fine ultimo dell’esistenza? Io penso che la felicità sia sì un diritto, ma che l’essere felici sia una condizione interiore che, in quanto tale, non possa essere subordinata a fattori esterni  o essere scopo egoistico di un’intera vita. Chiariamo innanzi tutto che diritto non è sinonimo di immediato conseguimento , ma di possibilità aperta a tutti indistintamente. Questo significa che non dobbiamo aspettarci che un non ben definito qualcuno ci serva su un piatto d’argento una porzione di qualcosa che ci è dovuto: subordinati alla volontà degli altri, vivremmo in attesa, facendo della felicità il solo scopo della nostra vita. Qualcuno potrebbe chiedersi cosa ci sia di male in tutto questo, cosa ci sia di male nel desiderare d’essere felici. Nulla di male, penso io, il desiderio è ragionevole, molto più irragionevole sarebbe non desiderare, come irragionevole sarebbe affidarsi all’attesa. Ma allora, se la felicità non viene dagli altri e comunque è perseguibile, come possiamo evitare di considerarla esclusivo scopo personale? Forse, io credo, tenendo sempre presente che non siamo soli, mentre siamo responsabili di noi stessi. La mia vita non può equivalere a”mors tua”, la libertà è libertà di scelta, ma non posso scegliere di mettere gli altri in prigione per sentirmi libero e infine non posso essere l’unico felice: se anche fossi su un’isola deserta, la mia natura umana cercherebbe la mia felicità nell’armonia con il mondo intorno. Ma allora, se la felicità non viene dagli altri, ma non è indipendente dal resto del mondo, se non è scopo egoistico e tuttavia la desidero per me,  è possibile essere felici? Io credo proprio di sì , credo che si possa essere felici se non ci si dimentica che bisogna essere altruisti per essere egoisti. Se voglio essere felice, se voglio qualcosa per me, il mio desiderio  egoistico è legittimo,  cioè fautore di felicità, se non è dimentico degli altri.